Nessuno lo conosce personalmente, ma di lui sappiamo già tutto. Gli piace raccontare la storia della sua vita sul tram all’ora di punta, solo che ormai la conosciamo a memoria perché sempre lì si ferma il suo racconto: quando lui è venuto a Torino per lavorare alla Fiat.
È piccolo, largo come una Cinquecento vecchio tipo, una faccia rotonda e occhi bovini con le pupille a rischio fuoruscita dalle orbite. Insomma, non proprio un bel vedere.
Tipicamente si piazza a inizio vettura, gambe allargate, e comincia la sua storia. Sembra ubriaco ma non lo è. Parla, parla, parla. Un monologo. Qualche passeggero dal quoziente intellettivo non proprio da ammissione al Mit, lo stuzzica con qualche battuta stronza ma lui niente, tira dritto e continua a parlare. Lo sguardo perso nel vuoto. Racconta piano. Inflessione dialettale del centro-sud. Frasi brevi e corrette, sì corrette. Grammaticalmente, voglio dire. Tutto al posto giusto, congiuntivi compresi. Stupefacente, no? E così, facendo attenzione al suo italiano dignitoso, rischio spesso di perdere dei pezzi della sua storia. Ma, alla fine, il puzzle si ricompone.
Infanzia difficile con padre muratore e sei fratelli. Lavori saltuari dopo la terza media. Quindi l’arrivo a Torino nei primi anni Settanta. Mamma Fiat. Verniciatura. L’autunno caldo. La contestazione. Operai ai cancelli. Il sindacato. L’Azienda.
La storia d’Italia nel suo racconto scorre rapida come un ruscello di montagna. Tutto fila. E cominci pure a prenderci gusto, nell’ascoltarlo.
Poi entra in scena Diego Novelli, il sindaco delle giunte rosse. E qui succede l’incredibile. Insulti al vecchio primo cittadino. “Dov’eri quando io….”. “Tu te ne stavi laggiù con l’Avvocato mentre noi…” Altri insulti, non pesantissimi, per carità: str, cogl, bast, ecco.
Ed ecco verificarsi il secondo miracolo: la divisione dei passeggeri. Da una parte i pro-Novelli, dall’altra gli anti-Novelli. In teoria nessuno lo stava ascoltando, tutti facevano finta di niente: chi continuava a leggere, chi a messaggiare col Nokia, chi a guardare fuori del finestrino. Nella realtà tutte le orecchie erano sintonizzate su quella stazione che trasmetteva un rapido bignami di storia sindacale cittadina negli anni più caldi del dopoguerra.
Bravo, era proprio così con Novelli, bravo, hai detto bene.
Ma stai zitto, fascista, che non eri neanche nato, io invece…
Ha parlato Garibaldi…
Hei bimbo, io ho tutto da insegnarti, neh?
Il signore ha ragione, prima studiati i libri di storia, poi potrai anche parlare…
Ma se non ci sono nemmeno più gli operai, non esistono più, non lo vedi…
Già, e mio padre che lavora in una boita per mille euro al mese che cos’è, un industriale?
Novelli ha ingrigito questa città, ha ragione il signore…
Perché prima dove vivevamo: a Sanremo?
…
E lui?
Lui continuava a parlare, a raccontare la Sua storia. Imperterrito. Nulla poteva fermarlo, nemmeno le parole che si accavallavano sul tram, in una specie di Tribuna Politica Viaggiante.
Poteva bloccarlo solo una cosa: la sua fermata.
Ed infatti così è stato. E’ sceso e la trasmissione si è interrotta. Peccato.
Ora siamo fermi a Novelli.
E dopo, che cosa è accaduto, dopo Novelli?